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Inclusione in DAD

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Lorenzo, so che sei andato a scuola durante il lockdown. Com’è andata?!

É stato bellissimo. Speriamo che succede un’altra volta. Non c’era nessuno: solo io e i miei compagni. Abbiamo fatto cose diverse. Abbiamo sistemato l’aula. Abbiamo fatto i cartelloni. Abbiamo pure coltivato i fiori del giardino perchè il giardiniere aveva il covid. E poi facevamo la musica con le chitarre. E correvamo per i corridoi. Poi la prof ci faceva andare in giro e scrivevamo sulle lavagne delle altre classi. Che erano vuote. Però questo è un segreto perchè se la Preside lo sa, licenzia la professoressa. Poi però cancellavamo, eh!
Lorenzo, 14 anni, Roma


Il lungo lockdown dello scorso anno per le famiglie dei bambini con disabilità è stato molto duro. Difficile, per tutti gli altri, anche solo da immaginare ….
Ancor più dura è stata per i ragazzi stessi che, per quanto seguiti a distanza nelle loro terapie/ attività, hanno avuto molte regressioni, perdendo autonomie didattiche e sociali acquisite negli anni con un lavoro costante di cooperazione dell’equipe psicopedagogica, della scuola e della famiglia.
Ma cos’è mancato veramente a questi ragazzi?!
Oltre alla routine, è mancata la vicinanza umana: la socializzazione.
Perchè quello che riescono a far fare gli amici di classe al loro compagno con disabilità, non riesce a farlo nessun’altro: genitore, docente o terapista che sia…


Ricordo ancora Leo, un mio ex alunno, affetto da x-fragile: aveva grande difficoltà ad entrare in classe la mattina.
Lunghi minuti nei corridoi in cui, a turno, operatori scolastici, docenti e genitori provavano a farlo entrare con le contrattazioni e promesse più incredibili di questo mondo e lui divagava.. restando coi piedi ben saldi sempre sulla stessa mattonella.
Poi arrivava un compagno.. e lui entrava in classe come se niente fosse mai accaduto. Felice, leggero e fluido, quando un istante prima era fermo, immobile e di piombo.
E noi tutti, esausti e sudati, restavamo increduli .. come a dire: era così facile?!
Quindi, bravo Governo che, attraverso i due decreti – il Dpcm del 24 ottobre e il Dpcm del 3 novembre 2020 – , ha garantito, durante l’ultimo lockdown, la presenza in classe agli studenti con disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento e altri bisogni educativi speciali.

La continuità per i ragazzi con disabilità non significa solo andare avanti ma, soprattutto, non tornare indietro!


Purtroppo, però, non per tutti è andata come a Lorenzo.


Giulia, com’è andata a scuola durante il lockdown? Ti sei divertita?

Insomma. Io voglio bene alla mia prof però era tutto strano. La scuola era vuota. E io mi sentivo triste in classe da sola.

E i tuoi compagni?
Li vedevo dalla lim. Però era meglio quando stavo a casa, almeno c’erano nonna e zia, se avevo freddo mi mettevo la vestaglia e la nonna mi preparava sempre pane e nutella.

Ancora mi domando come sia possibile che nel 2021 possa accadere questo genere di cose. Tutti possiamo sbagliare. E lo facciamo spesso.
Ma questo significa che famiglia, docenti, genitori, dirigenti hanno smarrito il senso dell’inclusione.
E mentre loro ignorano…
Giulia si sente diversa, esclusa, sola, impaurita. Segnata.
Segnata più di quanto non lo fosse già prima.
E regredisce… non perchè non abbia fatto lezione (perchè invece quella è l’unica cosa che non ha perso), ma perchè l’abbiamo trattata in maniera diversa dagli altri “sottraendole” il suo contesto, i suoi compagni. E questo le ha tolto ciò che la scuola e la famiglia, insieme, costruiscono pian piano: l’accoglienza, che fa sentire ben voluti… che sviluppa il senso di appartenenza, che ti fa sentire protetta… che innalza l’autostima, che ti fa capire che ce la puoi fare, anche quando hai una disabilità… perchè dove non arrivi tu, da solo, ti ci fa arrivare il tuo gruppo.


E non pensate al QI! Perchè la consapevolezza è frutto dell’EQ (Quoziente emotivo).
Bisogna tenerne conto sempre. Anche quando abbiamo di fronte qualcuno che non parla, o non è in grado di scrivere, o sembra guardare in un posto dove non ci sono i nostri occhi.
Le emozioni contano.
Ed è l’unico linguaggio che non discrimina.

Emilia Andriella