Come stanno i ragazzi?!
Mentre si tuffano in acqua o sono sull’altalena, sdraiati sul loro letto con davanti tik tok o guardano lo sport con la birretta in mano… chiediamocelo:
Come stanno i ragazzi?
No, perchè non vorrei che facessimo come quelli che …“passato il Santo, passata la festa!”. Purtroppo, di tanto in tanto, dovremo ricordaceli questi due anni trascorsi, e dovremo chiederci:
Come stanno, per davvero, i ragazzi?
Ricordo che, prima dell’inizio della pandemia, stavo lavorando ad un progetto che partiva da un’analisi condotta sui ragazzi (10-17 anni) e il loro senso di solitudine, che portava molti di loro all’isolamento, alla depressione e/o, addirittura, al suicidio.
Quindi, i ragazzi, non stavano troppo bene già prima…
E durante la pandemia, le cose non sono di certo migliorate: tristezza, disorientamento, apatia, aggressività.
Allora parliamogli a questi ragazzi, perchè le parole contano. E hanno contato anche durante questi anni pandemici.
Liliana Selva, program manager di Six Seconds, ci fa riflettere sul termine distanziamento sociale, abusato negli ultimi due anni:
♦ DISTANZIAMENTO: (in psicologia) atteggiamento di indifferenza o rifiuto
♦ SOCIALE: della società
Poiché le parole contano e poiché noi siamo esseri cablati per la socialità, il distanziamento sociale costituisce un’esperienza emotiva che prende il nome di dolore sociale: sentirsi esclusi, isolati, rifiutati da chi, magari, non ha più energia per connettersi con noi.
Le neuroscienze ci dicono che, in alcuni casi di dolore fisico e dolore sociale, si attivano le medesime aree cerebrali.
Ciò vuol dire che alcune esperienze emotive hanno lo stesso impatto del dolore fisico sul nostro benessere.
E sappiamo anche che:
∙ Periodi prolungati di dolore sociale hanno effetti deleteri sul sistema cognitivo.
∙ Il dolore sociale è molto più difficile da dimenticare, rispetto al dolore fisico.
∙ Il dolore sociale aumenta l’aggressività e riduce la capacità di controllare gli impulsi.
Quindi, come possiamo aiutarli questi ragazzi?
Intanto, ricordiamoci che anche il dolore sociale, con tutte le emozioni spiacevoli che si porta dietro, è un ALLARME che porta con sé un messaggio salvifico: fai attenzione!
Allora, forse, come al solito con le emozioni, basta ascoltarle… e ascoltarli. É vero, alcuni ragazzi non parlano molto…
Ma l’ascolto empatico è una connessione che va oltre le parole.
Si ascoltano i respiri, si ascoltano i silenzi.
A volte “non fare” può essere la soluzione.
Basta essere connessi. Basta comunicare la presenza anche nel silenzio.
Perchè le neuroscienze ci dicono anche un’altra cosa…. che essere connessi ci rende:
• motivati
• disponibili a condividere
• aperti al dialogo e al nuovo
Così come ci prendiamo cura della ferita al ginocchio che fa male anche quando non sanguina più e lo riabilitiamo alla corsa, allo stesso modo dovremo curare quel dolore che non si vede ed aiutare i ragazzi a riabilitarsi al sole e agli schizzi: col sorriso, anche dentro.
Solo in questo modo saremo davvero in grado di rispondere alla domanda che, dall’inizio, ci ronza nella testa:
Come stanno, per davvero, i ragazzi?
Riconnettiamoci
Emilia Andriella